Salvatore Zito (1960) ci ha abituati negli anni a una pittura colta dai caratteri pop, finalizzata a portare a rappresentazione l’immaginario della nostra società di massa imperniata dalle logiche della produzione, del consumo e della comunicazione.
La pittura in questa prospettiva diventa strumento per aprire un dialogo con il contemporaneo, facendo emergere una dialettica tra belle arti e arti applicate, che vede nella “decorazione” un elemento cardine capace di mischiare elementi della cultura “alta” e della cultura “bassa”, per dare vita a narrazioni visive iconiche della nostra condizione post-moderna.
La cifra neo-pop dell’artista e della sua produzione sono evidenti, infatti, nella scelta dei materiali (la carta come supporto, ad esempio) e dei soggetti (come il bestiario dallo stile allegorico e favolistico, i “miti d’oggi” tratti dal fumetto e dalla musica o gli oggetti di consumo come i gelati…), quanto nella scelta delle modalità espressive e stilistiche che privilegiano la serialità, l’uso del colore e la rappresentazione di elementi e dettagli fuori contesto e fuori scala, che diventano emblematici di una più generale cultura di massa.
Questa figurazione, che unisce la perizia pittorica alla rappresentazione stratigrafica di elementi tratti dal nostro quotidiano e dalla nostra enciclopedia visiva, privilegia una cifra espressiva di natura pop-ironica dal carattere allegorico, che trova la propria espressione più compiuta e matura nella serie degli “stick”, che diventano di volta in volta pretesto per raccontare l’iconografia che anima il nostro immaginario culturale.
La scelta di trasformare la rappresentazione di un oggetto di consumo in un elemento iconico ha permesso all’artista di mettere in scena contenuti tipici della storia della cultura in una perfetta sintesi visiva di facile accessibilità, capace di condensare riflessioni e contenuti di carattere sociale.
Figurazioni che potrebbero appartenere all’immaginario della pubblicità e della comunicazione di massa si fanno, quindi, opere d’arte e diventano così veicolo di una riflessione generale sullo stato dei rapporti umani, sulle modalità della relazione, sull’impossibilità di condurre comunicazioni efficaci, sull’erotizzazione dei rapporti sociali.
Come in questo caso, in cui un’icona dell’infanzia come Pinocchio, resa universale dall’industria culturale, viene inglobata in degli algidi ghiaccioli trasparenti, riportando alla nostra mente tutto l’immaginario pinocchiesco di storie edificanti e picaresche, di sottintesi erotici e simbolismi alchemici e iniziatici che il burattino più famoso del mondo ha da sempre incarnato.
Il Pinocchio che viene rappresentato, infatti, è quello dell’infanzia, un burattino in gomma dai caratteri disneyani apparentemente innocuo e innocente, che si limita a veder crescere il proprio naso appena ha raccontato una bugia. Questa apparente innocenza viene congelata all’interno di ghiaccioli pittorici che lo fanno diventare icona del consumo, capace pur sempre di alludere a quei significati nascosti o soggiaciuti che hanno a che fare con il diventare adulti e con l’erotismo, come ben ci ricorda una bella fatina dai tratti pittorici antichi e dallo sguardo maliziato.
Insomma, Zito porta a rappresentazione una porzione della nostra infanzia, ci ricorda di non dire le bugie e nello stesso tempo allude con malizia al fatto che potremmo pure non essere più buoni, o almeno non troppo retoricamente bravi e brave, durante le feste natalizie, proprio come il burattino che tra bravate, detti e non detti alla fine diventa un bambino vero.